domenica 27 gennaio 2013

Trattati europei troppo "rigidi"



La crisi economica che ha colpito la maggior parte dei Paesi Europei ha messo in luce tutte le debolezze dei Trattati. E’ necessario fare dei cambiamenti per impedire che “il sistema” salti.
 
Il grande sogno di una Europa unita che potesse contrapporsi, politicamente ed economicamente, agli Stati Uniti ed alle altre grandi potenze mondiali, rischia di trasformarsi in un brutto risveglio. Il meccanismo di integrazione europea che ha portato all’adozione di una moneta unica ed all’istituzione di enti sovranazionali che, attraverso regolamenti e direttive, possono imporre agli Stati membri, comportamenti e decisioni politiche univoche, sta producendo più danni che benefici. Processi di integrazione prevedono tempi lunghi e numerose fasi di “aggiustamento” soprattutto quando vi è una notevole eterogeneità dei Paesi coinvolti. In Europa ci sono economie forti, come Germania, Francia, Italia ed Inghilterra, ed economie molto deboli, come Portogallo e Grecia. Ci sono Paesi con una fortissima identità nazionale come l’Inghilterra, ed altri più portati all’integrazione come l’Olanda. Sarebbe dovuto essere chiaro, sin dall’inizio, che intraprendere la strada verso un’unificazione europea solida ed efficiente, avrebbe comportato la necessità di superare ardui ostacoli. La parola d’ordine sarebbe dovuta essere “flessibilità”. Invece, si è andati dalla parte opposta, e la parola d’ordine è stata “rigidità”. Il Trattato di Maastricht, firmato dai 12 Paesi che allora, nel 1992, facevano parte della Comunità europea, fissò severe regole politiche e parametri economici rigidi per l’ingresso degli Stati nell’Unione Europea. I 2 parametri economici principali erano: rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3% e rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60%. Solo all’Italia ed al Belgio, che già allora avevano un debito pubblico enorme, fu concesso inizialmente di “derogare” a tali regole, con l’impegno però di adottare misure per risanare le dissestate finanze. L’adozione della moneta unica che ha portato all’istituzione di una Banca Centrale Europea, ha però privato i singoli Stati della possibilità di adottare autonome politiche monetarie. Svalutare o rivalutare la propria moneta è stato, da sempre, lo strumento principe di regolazione economica che aveva permesso, soprattutto ai Paesi più deboli, di rivitalizzare il proprio tessuto produttivo durante le fasi di crisi. L’effetto è stato simile a quello del crollo di una diga a fronte dell’innalzarsi della marea. La crisi economica globale del 2008 fece le sue prime vittime. La Grecia, che aveva oltretutto confessato di aver “truccato” i conti per entrare in Europa, dichiarò di essere praticamente in default; il Portogallo era sulla stessa strada, ed anche Paesi considerati da sempre solidi economicamente e finanziariamente, come la Spagna e l’Italia, hanno cominciato a manifestare enormi crepe di bilancio. A questo punto, ci si è resi conto che la BCE doveva portare delle modifiche “di fatto” al proprio statuto. Inizialmente era previsto che non potesse assolutamente comprare titoli di debito sovrano, ma, quando la speculazione finanziaria cominciò ad attaccare i Paesi in difficoltà vendendone i titoli e facendone impennare i rendimenti, Draghi, il Governatore della BCE, per salvare “il sistema”, dichiarò che l’istituto avrebbe acquistato in modo “illimitato” bond governativi nel breve periodo, a fronte del rispetto di alcune condizioni da parte degli Stati coinvolti. La BCE e la Federal Reserve, pur essendo entrambe banche centrali, non hanno lo stesso grado di flessibilità. La banca centrale americana ha come obiettivo principale quello della crescita, e s’impegna a fare continue “iniezioni” di liquidità nel sistema economico per mantenerlo vitale e per combattere la disoccupazione. La banca centrale europea ha invece l’obiettivo di contrastare l’inflazione e, proprio per questo, è molto più restio a stampare denaro. Ciò fa comodo alla Germania, che così può contare su una moneta forte e sul contenimento dell’inflazione, ma non fa gioco alle economie che si trovano in maggiore difficoltà che invece, avrebbero bisogno di una banca tipo “Federal Reserve” che aumentasse la massa monetaria nel sistema. Ecco un primo caso di conflitto d’interesse all’interno di una Europa che ha 2 diverse velocità. La stessa Germania rifiutò anche un modo indiretto per risolvere il problema: quello dell’istituzione degli Eurobond. Attraverso titoli di debito pubblico europei si sarebbe costituita una “garanzia” solida sulla loro stabilità che ne avrebbe abbassato fortemente i rendimenti a beneficio “di tutti” i Paesi dell’Unione Europea. E’ inammissibile che la Germania collochi i propri titoli di debito pubblico all’1,5% e ci siano altri Paesi che invece devono pagare interessi dell’8% ed anche di più (vedi Portogallo e Grecia). Il sistema così non può tenere a lungo, ed oltretutto si creano sacche d’iniquità che andranno ad inquinare irrimediabilmente anche i rapporti politici e sociali dei diversi Paesi Europei. Invece di invertire questa pericolosa china, i burocrati europei, privi di legittimazione politica, hanno continuato nella loro strada di inasprimento delle regole di bilancio.
Si è cosi dato vita al “fiscal compact”, cioè all’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio. Una decisione che considero devastante per l’Italia ed anche per altri Paesi dell’Europa (Inghilterra ed Ungheria non vi hanno aderito). E’ chiaro che, dover obbligatoriamente chiudere il bilancio in pareggio, per un Paese come l’Italia, che deve pagare circa 80 miliardi di euro all’anno d’interessi passivi, significa tagliare drasticamente il welfare ed aumentare enormemente la pressione fiscale! Risultato: capitali che fuggono, imprese che chiudono e disoccupazione alle stelle.
Non si può distruggere un’economia forte come quella italiana per risanare velocemente e drasticamente il bilancio. E questo vale anche per molti altri Paesi europei. La stessa Spagna, considerato fino a pochi anni fa, un Paese in grande sviluppo, sta conoscendo un periodo di crisi economica senza precedenti, con tassi di disoccupazione giovanile che superano il 55%! Ad incancrenire ulteriormente il sistema c’è stato l’introduzione del MES, il cosiddetto Fondo salva-Stati. Tutti i Paesi europei sono stati “invitati”, in quota, a partecipare ad un Fondo la cui funzione è quella di “soccorrere” i Paesi in difficoltà per i loro debiti sovrani. E’ come chiedere a chi sta avendo un’emorragia, di donare il sangue. L’Italia ha già versato le prime tranches della quota che gli spetta da pagare, e dovrà farlo in futuro fino alla somma prevista di 125 miliardi di euro! Se dovesse richiedere in futuro l’aiuto, gli verrebbero in pratica prestati i suoi stessi soldi con l’obbligo però, anche di pagarci degli interessi! E’ chiaro che il “sistema” Europa, a queste condizioni è destinato irrimediabilmente al fallimento. Bisogna eliminare il fiscal compact prevedendo un risanamento delle finanze in tempi molto lunghi. E’ stato proposto, ad esempio, di distinguere le spese correnti dalle spese per investimenti. Le spese per investimenti dovrebbero essere “stralciate” dal calcolo del pareggio di bilancio. E’ necessario coagulare l’interesse per una finanza sana con quello di una crescita economica che porti occupazione. La BCE deve “garantire” tutti i debiti sovrani in modo da uniformare i rendimenti. Solo se Spagna ed Italia, nonché Grecia e Portogallo potranno pagare per i propri bond quanto paga la Germania, avranno allora le risorse per avviare, con moderazione e con i tempi giusti, un risanamento delle proprie finanze ed ulteriori risorse per rilanciare le proprie economie. E’ necessario quindi lasciare “un margine di operatività” alle sovranità politiche di ogni Paese per gestire, tenendo conto delle proprie peculiarità sociali ed economiche, un processo d’integrazione il più possibile “indolore”. In caso contrario non solo cadrà l’Europa, ma dalle sue macerie ne usciranno anche distrutti economicamente e socialmente molti dei Paesi che ne facevano parte.



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